venerdì 27 febbraio 2015

Ipotiroidismo e Glutine

Dopo cinque anni di salute perfetta nel luglio del 2014 mi rendo conto di avere qualche problema di fibromialgia, per questo motivo decido spontaneamente di fare delle analisi alla tiroide. Risultato? Tiroxina sotto la norma e Tsh alle stelle!
Esami Luglio 2014 - Clicca per Ingrandire
Il medico mi diagnostica ipotiroidismo, mi prescrive una ecografia e mi dice che molto probabilmente dovrò prendere Eutirox a vita. Io non mi faccio prendere dal panico, decido di non fare nessuna ecografia perchè ero certo che dipendesse da un problema di tipo alimentare. 
 L'alimentazione ha un enorme influenza sul nostro stato di salute, nel caso della tiroide per esempio esistono alcuni cibi in grado di influenzarne il metabolismo. Sto parlando delle verdure della famiglia delle crucifere, delle liliacee, del miglio, dell'ananas, del cocco...
Decido di iniziare a consumare alga kombu ( ricchissima di iodio), di ridurre gli alimenti dagli effetti goitrogeni e di eliminare il glutine ( il glutine solo per un mese).
Oggi ho ritirato le analisi...Problema sparito! 
Esami Febbraio 2015 - Clicca per Ingrandire
 

la causa? secondo me la causa è il glutine del grano moderno. Per chi non lo sapesse il grano moderno è stato modificato geneticamente al fine di aumentare la produzione dello stesso. Peccato però che questa mutazione indotta abbia squilibrato il rapporto gliadina/glutenina del grano causando intolleranze e disturbi di salute di vario genere (tra cui anche malattie tiroidee). A questo punto la domanda sorge spontanea...i grani antichi, quelli che mangiavano i nostri nonni da bambini ( Tumminia, Perciasacchi, Maiorca, Strazzavisazz...) causano lo stesso problema? il problema è reversibile? secondo me si, per questo motivo ho deciso di proseguire i test. Direi che tra qualche mese lo scopriremo!

giovedì 19 febbraio 2015

Il Falso mito delle proteine – Prof. Armando D’Elia

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 Questo è l’interrogativo che a titolo di obiezione o di contestazione pongono quasi sempre con aria preoccupata coloro ai quali si consiglia l’eliminazione della carne dalla loro dieta.
Non c’è da meravigliarsi di un tale interrogativo in quanto comunemente si ritiene che dire “proteine” è la stessa cosa che dire “carne” e che mangiare il cadavere degli altri animali sia l’unica maniera, o la migliore, per procurarsi !e proteine necessarie alla propria alimentazione. Una simile opinione è errata. Per tre motivi.
Anzitutto: le proteine non si trovano solo nella carne. Le proteine sono infatti ubiquitarie nel mondo dei viventi, essendo presenti in quantità più o meno grande in tutti i vegetali e in tutti gli animali. Nelle cellule del più tenue filo d’erba, così come nelle foglie di qualsiasi pianta a fusto erbaceo o lignificato, sia selvatica che coltivata, sia di piccole che di grandi dimensioni, nelle cellule di qualsiasi frutto, di qualsiasi seme, di qualsiasi altra parte dei vegetali sono presenti sempre delle proteine. Le proteine, naturalmente, sono sempre presenti anche nel corpo dì qualsiasi essere vivente animale, dal più minuscolo al più grande, nonché nei loro sottoprodotti (uova, latte e derivati, miele).
In secondo luogo perché le quantità di proteine necessarie all’uomo possono essere assunte anche nutrendosi esclusivamente di alimenti vegetali. 
In terzo luogo perché non è vero che la carne sia “la migliore” fonte di proteine ; per l’alimentazione dell’uomo, in quanto gli alimenti vegetali sono adatti all’uomo certamente più della carne e dei sottoprodotti animali.. E questo per incontrovertibili ragioni biologiche, come si dimostrerà. Da quanto fin qui detto discende la necessità che un lavoro come questo, imperniato sulle proteine, debba partire da una disamina critica del consumo della carne, e debba, quindi, altrettanto necessariamente, parlare di vegetarismo.
》Un po’ di storia del consumo di carne
Certamente il lettore si chiederà come è nata quella opinione che poc’anzi qualificammo “errata” e che è espressa dall’equazione :
proteine = carne
Poiché tale opinione è riuscita ugualmente, sebbene errata, a radicarsi nelle consuetudini alimentari dell’uomo, c’è da chiedersi come mai ciò ha potuto avvenire. Nei seguenti stelloncini si cercherà di dare una sintetica risposta a tale interrogativo.
* Durante la sua preistoria l’uomo, quando dalla foresta intertropicale passò nella savana (pur conservando le originarie caratteristiche anatomiche e fisiologiche di animale fruttariano), iniziò a consumare anche carne per potere sopravvivere (come meglio si dirà in seguito) e così visse per un lungo periodo. Ma ad un certo punto iniziò una graduale e lentissima attenuazione della sua dieta carnivora, di pari passo con una lenta reintroduzione di vegetali crudi nella sua alimentazione; attenuazione che divenne poi sempre più decisa dopo l’avvento dell’agricoltura.
Nell’antichità (in Egitto, così come in Grecia e a Roma) ed anche nel Medio Evo e nel periodo rinascimentale la carne giunse ad avere importanza prevalentemente rituale e venne riservata in particolar modo alle categorie dei guerrieri e, in certe occasioni sacrificali, dei sacerdoti. Al di fuori di queste categorie, il consumo di carne era del tutto occasionale e sporadico sino a pochi decenni or sono, come ben ricordano coloro che hanno superato la cinquantina.
Ma durante gli ultimi 40 anni all’inarca il consumo di carne è diventato sempre più intenso sino a divenire sistematico, radicandosi fortemente, alla fine, nelle abitudini dietetiche umane; si vedrà presto perché. Tuttavia ancor oggi vi sono vaste aree geografiche nelle quali per vari motivi la carne continua a consumarsi solo sporadicamente (in Africa, nel Medio ed Estremo Oriente, ecc.).
Per quanto sopra detto, si può affermare che per il consumo di carne esistono dei limiti storico/temporali e dei limiti geografici. Basterebbe tener presente questo fatto per comprendere che è tutt’altro che naturale e tutt’altro che indispensabile, per l’uomo, ricorrere alla carne per approvvigionarsi di proteine, giacché, se così fosse, l’intero genere umano avrebbe dovuto ricorrervi sempre, sin dalla comparsa dell’uomo carnivoro, in misura uniforme, in tutti i tempi, a tutte le latitudini e in tutti i continenti.
* Perché mai, allora, continua a riscuotere credibilità l’equazione, cui prima si è accennato, “proteine – carne” ? Perché è così dura a morire questa autentica infatuazione, questo “mito” della necessità delle proteine della carne ?
Si è già detto che l’uso sistematico della carne è relativamente recente. In particolare, tale sistematicità cominciò ad affermarsi dopo l’avvento della rivoluzione industriale che elevò gradatamente le condizioni di vita di alcune categorie sociali. Nella inevitabile competitività che seguì, le categorie che emersero economicamente poterono introdurre stabilmente nella loro dieta la costosa carne che divenne così un vero e proprio “status symbol”, caratterizzato da un modello alimentare invidiabile, da imitare, quindi, appena si fossero acquisite sufficienti disponibilità economiche. In poche parole, la gente pensava : “Se la carne è mangiata dai ricchi, che sono più colti, vuol dire che non c’è di meglio del mangiar carne”.
Si giunse ad ostentare la gotta, malattia provocata da accumulo di acido urico, che genera infiammazioni articolari anche gravi e che è causata da eccessi di carne, come simbolo evidente di censo elevato, tanto che la gotta fu chiamata “la malattia dei Re” ! Fu così che si generalizzò il carnivorisrno nell’uomo moderno. Una vera e propria involuzione sia sul piano salutista che su quello morale.
Comunque, oggi la situazione si è capovolta in quanto la gotta, “privilegio” sino al secolo scorso quasi esclusivamente delle categorie benestanti, colpisce attualmente anche le classi non benestanti, cioè salariati, braccianti e manovali perché hanno anche loro raggiunto la possibilità economica di mangiare carne tutti i giorni. Ma mentre la classe colta, appunto perché colta, ha ormai capito a proprie spese che conviene adottare una dieta parca limitando o sopprimendo in particolare le proteine animali, e quindi sta rinsavendo, la classe meno colta continua a divorare carne; ma è facile prevedere che quest’ultima classe, a misura che comprenderà che sì alimenta in modo errato, ridurrà certamente o eliminerà la carne.
* Quanta carne si consuma ? Limitandoci per il momento a parlare dei consumi italiani, si ricorda che nel 1926 il consumo annuo medio pro capite era di 12 chilogrammi; ma nel 1S50 era salito a 16 chilogrammi e nel 1955 a 20 chilogrammi. Da quest’ultima data i consumi sono andati rapidamente aumentando sino a toccare il massimo: 82 Kg pro capite, così ripartiti : 26 bovina, 27 suina, 19 pollame e 1,3 equina. Il rimanente è costituito da carne di pesci, uccelli, conigli, molluschi, crostacei, ecc. ( dati ISTAT 1997 ).
》L’inversione di tendenza nel consumo da carne in Italia
Ma ecco, che, verso la fine del 1990, comincia a verificarsi un fatto che si può definire “storico”: per la prima volta, dopo mezzo secolo di continua, ininterrotta ascesa del consumo di carne, questa ascesa si trasforma in “calo”. Calo che, iniziatosi in sordina, all’inizio sembrava irrilevante e dovuto a fenomeni contingenti e quindi transeunti. Invece, il calo non solo è continuato, ma si è accentuato, assumendo ormai’ le caratteristiche di una vera e propria inversione di tendenza, che è, da salutare come un evento positivo per il popolo italiano.
Questa decisione degli italiani di diminuire il consumo di carne è dovuta in primo luogo ad un arricchimento di informazioni, soprattutto di quelle riguardanti il rapporto tra consumo di carne e salute che hanno scosso fortemente in una notevole parte della popolazione i convincimenti preesistenti che la carne fosse un alimento idoneo all’uomo, non solo “necessario” per procurarsi proteine, ma addirittura salutare.
E’ in corso, insomma, una progressiva e, sembra, ormai inarrestabile disaffezione degli italiani nei riguardi della carne, specie di quella bovina (il consumo della carne di vitello – negli anni sessanta considerata la migliore, ricercatissima per bambini ed anziani – ha subito, nel 1990,- un calo secco del 17%).
Questa “ondata salutista” dovuta ad una maggiore consapevolezza nutrizionale, sta investendo però non solo l’Italia, ma tutti i paesi che presentavano un livello elevato del cosiddetto “benessere”, rivoluzionando così abitudini alimentari che si ritenevano ormai immutabili e mettendo in discussione, come prima accennato, la inveterata credenza che la carne fosse fonte insostituibile di proteine “nobili”. Da tale riesame la carne è stata, in definitiva, messa sotto accusa e considerata addirittura una delle cause, se non la principale, delle cosiddette “malattie del benessere” (obesità, arteriosclerosi, diabete., ipertensione, malattie circolatorie, ecc.), la cui diffusione, statisticamente, risulta in realtà proporzionale al consumo di carni.
Un cenno particolare merita un comunicato dell’associazione grossisti ovini e pollami, del dicembre 1992, con ii quale si ammette, rispetto al 1991, un calo del 20% in meno delle vendite di ovini e pollami.
Ma il calo del consumo di proteine della carne è da salutare come un evento estremamente positivo non solo per il popolo italiano ma per tutta l’umanità. Tanto si afferma in quanto si può con sicurezza presagire che tale calo interesserà, estendendosi a macchia d’olio, gradualmente ma anche velocemente, tutti i popoli della Terra, tutta l’umanità insomma.
Non solo, ma si può prevedere anche che tale calo, che oggi è giunto già ad una percentuale di tutto rispettò, si intensificherà sempre di più sino a farci giungere all’eliminazione totale del ricorso alla uccisione di animali non umani per potersi rifornire di proteine mangiando i loro cadaveri. Sarà quello un gran giorno per il genere umano, che si sarà così finalmente affrancato dall’onta di uccidere dei fratelli Innocenti.
Le conseguenze di un tale evento saranno estremamente rivoluzionarie, pacifiche e pacificatrici, ed enormemente benefiche sul piano della salute fisica e morale dell’uomo. Saranno, ovviamente, benefiche anche nei riguardi dei poveri animali così assurdamente trucidati dall’uomo e la cui vita verrebbe, così, salvata e finalmente rispettata come merita. Infine, l’eliminazione del carnivorismo avrebbe enormi conseguenze positive sull’ambiente, liberato finalmente dalle terribili e devastanti conseguenze che gli allevamenti intensivi di animali da macello esercitano : sul suolo desertificandolo, sulle foreste distruggendole, sulle acque inquinandole.

Tratto dal libro: Prof. Armando D’Elia – “MITI E REALTA’ NELL’ALIMENTAZIONE UMANA”

domenica 15 febbraio 2015

Fruitburger e "patatine" fruttariane

Ingredienti e preparazione:


I fruitburger si preparano frullando melanzane tonde larghe con un 20% di olio d’oliva denocciolato spremuto a freddo (meglio se biologico), eventualmente insieme a un po’ di pomodoro secco; si scola l’acqua in sovrappiù del frullato e, con una formina per hamburger, si vanno plasmando. Se la melanzana è del tipo molto amaro, allora prima di frullarla conviene deamarizzarla col classico metodo del sale. Porre i fruitburger ottenuti su carta da forno ed essiccare (o in forno o meglio in un essiccatore) a temperatura non maggiore di 45°C (per non alterarne il valore nutrizionale) per molte ore, all’incirca otto.

Si otterrà il seguente risultato:


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Le patatine “fritte” fruttariane si possono ottenere di due tipi:

a) Strette e lunghe: tagliare delle zucchine per lungo in modo che assumano la forma delle classiche patatine, dopo averle sbucciate. Poi impregnarle totalmente in olio denocciolato e porle in essiccatore per circa sei ore (non solo non sono fritte, ma sono addirittura frutta cruda, decisamente salutari e dal gusto infinitamente superiore).


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b) A sfoglia: zucchine con la buccia tagliate in senso obliquo a rondelle molto sottili con mandolina, poi impregnate totalmente di olio d’oliva denocciolato e poste in essiccatore (sempre non superando i 45°) per circa quattro ore.


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Ketchup fruttariano:

salsa frullata di: 70% pomodorini datterini, 15% pomodoro essiccato e 15% uva essiccata. (Per chi ancora non è in fasi alimentari avanzate e quindi può ancora permettersi di utilizzare l’aceto, anche se fortemente sconsigliato, per rendere il ketchup ancora più simile a quello tradizionale, conviene aggiungere una piccola percentuale di aceto di mele).

Maionese fruttariana:

salsa frullata di: avocado, pomodorini e abbondante olio d’oliva denocciolato.


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Buon godimento…

martedì 10 febbraio 2015

Foie gras: un'usanza barbara

Il foie gras (letteralmente “fegato grasso”) è il fegato malato di un’oca o di un’anatra che è stata sovralimentata forzatamente, più volte al giorno, per mezzo di un tubo metallico, lungo 20-30 cm, infilato in gola e spinto giù fino al raggiungimento dello stomaco. Per costringere il suo organismo a produrre il foie gras, l’animale deve ingerire un’enorme quantità di mais in pochi secondi. Questo comporta l’aumento delle dimensioni del fegato quasi di dieci volte superiore rispetto a quelle normali e lo sviluppo di una malattia nell’animale: la steatosi epatica.

Se l’animale cerca di divincolarsi quando il tubo gli viene inserito in gola, o se il suo esofago si contrae per conati di vomito, rischia il soffocamento e la perforazione del collo che gli sarà fatale.
L’inserimento del tubo comporta lesioni con conseguenti infezioni e dolorose infiammazioni. La squilibrata e forzata sovralimentazione causa frequentemente malattie dell’apparato digestivo, potenzialmente fatali.
Subito dopo ogni sessione di alimentazione forzata, l’animale soffre di dispnea e diarrea. L’allargamento del fegato comporta difficoltà respiratorie e rende doloroso qualsiasi movimento.
Il ripetersi di questo trattamento porta alla morte dell’animale alimentato forzatamente. Questi volatili vengono macellati prima che muoiano per queste conseguenze. In ogni caso, gli animali più deboli sono già moribondi al momento dell’arrivo nella stanza da macello, mentre molti altri non arriveranno neanche a quel momento: nel periodo di alimentazione forzata, il tasso di mortalità delle anatre è da dieci a venti volte superiore al normale.

Sofferenza concentrata

La violenza insita nella produzione del foie gras basterebbe a giustificarne l’abolizione. Comunque, per la maggior parte di questi animali il calvario non si limita alla brutalità dell’alimentazione forzata. A molti viene amputata parte del becco, senza anestesia, con pinze o forbici.
La natura delle anatre è di trascorrere gran parte della loro esistenza in acqua. In questi “allevamenti”, molti volatili vengono tenuti prima in capannoni, poi in gabbie dove si feriscono le zampe che appoggiano su una serie di fili metallici. Le gabbie sono così piccole che gli animali non possono nemmeno girarsi su loro stessi, tantomeno assumere una posizione eretta o battere le ali. A molti di quelli che sopravvivono fino al macello si spezzano le ossa durante il trasporto e mentre vengono maneggiati. Quindi vengono appesi a testa in giù per essere fulminati con l’energia elettrica, per poi essere sgozzati. Le anatre femmine vengono macellate vive o asfissiate brevemente con il gas dopo la covatura, perché i loro fegati hanno più vene di quelli dei maschi.

Piacere per alcuni, sofferenza per altri

Come può il banale piacere di mangiare il suo fegato giustificare l’imposizione di un’esistenza così orribile ad un essere senziente che, come noi, prova dolore e angoscia? Solo il fatto che appartiene ad un’altra specie ci dà il diritto di rimanere sordi nei confronti della sua sofferenza e muti di fronte a questa schiavitù immorale?
Esistono delle leggi che proteggono gli animali dalle torture e dalle crudeltà. Queste leggi vengono deliberatamente ignorate quando ogni anno 30 milioni di animali vengono utilizzati per il foie gras, soprattutto in Francia. Si dice che la “sofferenza necessaria” è accettabile. In realtà, il consumo di questo prodotto è assolutamente non necessario. Nessuno, nemmeno chi trae profitto da questo commercio, oserebbe affermare il contrario.
Mentre per il consumatore il prezzo al chilo del foie gras continua ad abbassarsi, gli animali, i cui corpi vengono straziati deliberatamente, pagano a caro prezzo.
Anche la Francia sta pagando a caro prezzo il foie gras, dal momento che è vista come una nazione reazionaria a confronto di quei Paesi che ne hanno bandito la produzione. Non è incredibile che un’usanza barbarica come conficcare un imbuto o una pompa pneumatica nella gola di un animale in gabbia sia considerata una tradizione d’elevata cultura?

Bandire il foie gras: verso una produzione alimentare etica

Riconoscendo che la realizzazione del foie gras si basa su una totale negazione dei diritti degli animali utilizzati per la sua produzione:
  • Chiediamo a coloro che alimentano forzatamente oche e anatre di fermare questa pratica abusiva. Il fatto che non intendano fare del male a questi animali non riduce la sofferenza che comunque provocano loro. Chiediamo a chiunque tragga profitto dal foie gras, senza nessuna considerazione etica, di cessare la sua partecipazione a questo business malato.
  • Chiediamo a chiunque tragga profitto dal foie gras, senza nessuna considerazione etica, di cessare la sua partecipazione a questo business malato.
  • Chiediamo alle autorità scientifiche e veterinarie a cui sta genuinamente a cuore il benessere degli animali di denunciare coraggiosamente, nonostante la pressione politica ed economica, gli attuali metodi di produzione del foie gras.
  • Chiediamo ai nostri giudici di ricordare che esistono delle leggi finalizzate a limitare la sofferenza che può essere inflitta ad un essere senziente, e che, di conseguenza, la produzione del foie gras è illegale.
  • Chiediamo ai nostri politici di legiferare al fine di bandire questa pratica per sempre.
In qualità di consumatori determinati a “servire l’etica” a tavola, e coscienti del fatto che questa sofferenza esiste unicamente per soddisfare le nostre papille gustative, ci rifiutiamo di comprare e consumare questi fegati malati di animali torturati.

giovedì 5 febbraio 2015

L'amaranto


L'amaranto è una pianta antica originaria del centro America, considerata sacra da Inca e Aztechi.
I suoi semi sono commestibili e usualmente consumati in maniera simile ai cereali, non facendo però parte della famiglia delle Graminacee, non può ( botanicamente parlando ) essere considerato un cereale. Questa pianta è diventata un incubo per le coltivazioni di Soia Ogm Monsanto per via della sua capacità di resistere al potente erbicida Roundup. L'amaranto infatti invade le coltivazioni e in alcuni casi arriva a provocare la perdita del raccolto.
L'amaranto è ricco di proteine, 100g di prodotto possono contenere fino a 16g di proteine con elevato valore biologico. Rispetto ai cereali infatti contiene il doppio di lisina, un amminoacido essenziale importante perchè precursore di una importante vitamina, la niacina.

Grazie all'elevato contenuto di fibre, ha un effetto positivo sulla digestione e sul ricambio. Essendo privo di glutine è indicato per l'alimentazione di chi è affetto da celiachia o ha problemi intestinali, ma anche ai bambini nel periodo dello svezzamento. È convenientemente usato spesso come base per le pappe dei bambini o come ingrediente pregiato di minestroni di verdura per convalescenti ed anziani.
L'amaranto ha un buon contenuto di calcio, di fosforo, di magnesio e di ferro ma nonostante queste caratteristiche le sue potenzialità nutrizionali vengono particolarmente compromesse dal suo elevato contenuto di ossalato di calcio. L'ossalato di calcio è un sale insolubile che tende a precipitare sottoforma di cristalli e ad accumularsi nelle vie urinarie, è considerato un fattore antinutrizionale poichè si combina con diversi minerali formando dei sali che impediscono l'assorbimento di alcuni nutrienti (ferro, magnesio e soprattutto il calcio). Per questi motivi viene sconsigliato il suo consumo regolare e in particolare da parte di soggetti affetti da calcolosi.